Allergica alle regole, felice di aver realizzato i propri sogni, ironica, spiritosa, libera: Lodovica Comello si racconta senza filtri tra radio, televisioni e figli che verranno: «Mi sento pronta, perché no?»
Prima di vederla su SkyUno, accanto al direttore di Vanity Fair Simone Marchetti, alle prese con partecipanti che faranno a gara di stile, a settembre riprende la conduzione di A me mi piace, il programma di scherzi telefonici su Radio 105. Contemporaneamente, inizia a registrare la prossima edizione di Italia’s Got Talent insieme a Federica Pellegrini, Frank Matano, la new entry Joe Bastianich («Chissà cosa lancerà ai concorrenti!») e la sempiterna Mara Maionchi («Un’eroina che ci seppellirà tutti: dopo 12 ore di lavoro è capace di giocare a Burraco fino alle 4 del mattino. E di sfidare chiunque le capiti sotto tiro»).
A ottobre, poi, Lodo, come si autodefinisce quando parla di sé in terza persona, sarà protagonista della serie Fox Extravergine diretta da Roberta Torre prodotta da Publispei di Verdiana Bixio: qui vestirà i panni di Dafne Amoroso, una giornalista 30enne anomala. Anomala perché vergine. Anomala perché incaricata di scrivere esclusivamente articoli di sesso, impartendo consigli e testando sex toys.
Li ha dovuti provare davvero?
«Be’, diciamo che ne ho passati in rassegna parecchi».
Quello che consiglierebbe alle donne?
«Un aggeggio con palette rotanti. Credo si chiami elegantemente “aspira-clitoride”».
Il più improbabile?
«Un bambolotto di dimensioni umane. L’ho soprannominato José. Aveva una discreta erezione. Io un discreto disagio».
Ha dovuto simulare un rapporto?
«Per fortuna no. Le scene erano comiche. Però ho dovuto simulare la masturbazione».
Imbarazzata?
«Divertita. Mi sono ispirata al protagonista di Sex Education: alla fine della prima stagione prova finalmente l’orgasmo e fa delle facce assurde che ho cercato di imitare».
Il suo personaggio, Dafne, è un po’ «la sfigata» del gruppo. Lei si è mai sentita così?
«Tutta l’adolescenza. Ero sempre indietro rispetto alle amiche, che mi facevano da nave scuola: sono stata l’ultima ad avere il ciclo, a fare l’amore, persino a dare il primo bacio».
Se lo ricorda?
«È stato a un gioco della bottiglia. Volevo togliermi il problema della “mai stata baciata”».
Purtroppo sulle donne vige il doppio stigma: è male aver avuto troppi uomini ma anche non averne nessuno.
«Esatto, non va mai bene niente. Forza maschietti, diteci voi qual è il numero giusto».
Lei quanti ne ha avuti?
«Molto pochi. Sono stata fidanzata dai 15 ai 19 anni. A 20, mentre giravo Violetta in Argentina, ho conosciuto Tommy (il produttore televisivo Tomas Goldschmit, ndr), a 25 l’ho sposato. Faccia lei i calcoli».
Non ha mai paura di essersi persa delle esperienze?
«A volte ci penso. Ma mio marito e io abbiamo sempre saputo di essere fatti l’uno per l’altra, dal primo momento».
Colpo di fulmine, quindi.
«Più o meno. Abbiamo trascorso un paio di mesi in cui uscivamo sempre in tre: io, lui e una mia amica spagnola, anche lei nel cast di Violetta. Tra ragazze ci chiedevamo: chi delle due starà puntando?».
Quando è arrivata la risposta?
«Un giorno ha tirato fuori due biglietti per il concerto degli Aerosmith. Ha invitato solo me. Da lì è partito tutto».
Da lì è partita anche la sua carriera: Violetta ha spiccato il volo. E lei pure.
«È stato un periodo magico. Quando è uscita la serie, noi attori eravamo così presi d’assalto dai giovanissimi che evitavamo di frequentare centri commerciali, parchi e scuole. I miei genitori hanno persino dovuto staccare il telefono di casa per le troppe chiamate. In compenso gli affari nei loro negozi di abbigliamento andavano benone. Tutti volevano un pezzetto di Violetta. Eravamo “i Rolling Stones dei ragazzini”. Durante il tour di concerti, che è seguito alla fiction, avevamo pure brevettato “l’uscita Rolling Stones”».
Sarebbe?
«Ultimo brano: noi cantanti ci inchiniamo, salutiamo e usciamo. La band continua a suonare, così la gente resta al proprio posto. Tutti sudaticci, con ancora gli abiti di scena indosso, ci infiliamo sul van e scappiamo in autostrada».
C’è stato però un altro lato della medaglia: dopo Violetta, in alcuni ambienti ha faticato a essere presa sul serio.
«Già. Una volta ero ospite della trasmissione E poi c’è Cattelan. Mi ricordo una sfilza di commenti orrendi sui social, da “ma questa chi è?” a “cambio canale”. Uno però mi ha ferito di più».
Quale?
«Un telespettatore ha scritto: “Pensavo fosse una trasmissione di livello. Invece c’è Violetta”. Evidentemente, poiché avevo fatto Violetta non ero degna d’altro».
Ci sono stati diversi personaggi che, dopo un inizio di carriera in Disney, hanno provato in tutti i modi a smarcarsi dall’etichetta di idoli degli adolescenti. Miley Cyrus o Britney Spears, per esempio, hanno puntato molto sulla sensualità.
«In parte le capisco: io magari non sarei finita a leccare martelli seduta mezza nuda su una palla demolitrice, però comprendo l’atto di ribellione. Disney è una delle aziende più grandi al mondo, i suoi prodotti sono eccellenti, sicuri, tutti passano il test dei genitori».
Ma?
«Ma ha delle regole molto ferree. E se lavori con loro non puoi sgarrare».
Cioè?
«C’è un dipartimento aziendale, chiamato Compliance, che vigila su tutto quello che fai. Ti fa sentire sempre sotto osservazione, sempre controllato».
Che cosa è vietato?
«Devi stare attento a come ti vesti, non puoi scoprirti troppo. Ai loghi a cui ti associ: alcuni non sono graditi. A cosa posti: una volta mi hanno fatto rimuovere una foto perché ero al bar con delle amiche e sullo sfondo, completamente sfocata, si intravedeva una bottiglia di Campari. Anche il modo in cui ti esprimi viene esaminato: sono bandite le opinioni, specie se riguardano politica o religione. Bisogna essere molto neutrali per abbracciare tutto il pubblico».
A forza di incarnare una figura rassicurante, il pensiero diventa più semplice?
«Assolutamente sì: questo atteggiamento porta a disinteressarsi alle cose. Io, per esempio, di politica non so nulla».
Ora, però, che è fuori da Disney da anni si è fatta un’opinione?
«La situazione attuale mi preoccupa, ma non smetto di aver fiducia nell’essere umano».
Una risposta che, sicuramente, passerebbe il test della compliance.
«L’abitudine».
Metterebbe al mondo un figlio in questa Italia?
«Sì, anche subito. Mi sento pronta».
Non teme un freno alla carriera?
«Ci penso, certo. Il mio è un ambiente competitivo: se ti assenti per troppo tempo, vieni dimenticato. Però non potrei programmarlo: se guardo il mio calendario, tra recitazione, canto, conduzione, non ho un momento libero».
C’è chi pensa che si possano fare benino tante cose ma si può eccellere solo in una, donando tutto.
«A me piace la varietà della mia professione: perderei troppo a focalizzarmi su un’unica strada».
E pazienza se non diventa la numero uno in nessuna disciplina?
«Io mi sento già una numero uno: volevo campare esibendomi e ce l’ho fatta. Dovesse finire tutto domani, avrei comunque un pezzetto di vita in cui ho realizzato i miei sogni».
di Nina Verdelli: leggi l’articolo originale su Vanity Fair →