La nostra serie tv nasce dallo studio della criminalità

 

Arriva su Rai 1 «Io ti cercherò» di Gianluca Maria Tavarelli con Alessandro Gassmann.
Abbiamo incontrato gli sceneggiatori.

La sera prima di morire, Ettore (Luigi Fedele) sembra felice. Lui e la fidanzata Martina (Zoe Tavarelli), poco più che ventenni, dormono nudi sulla terrazza della casa in cui vive al Pigneto a Roma. Aspettano l’alba, progettano il futuro. Per questo quando da lì a poche ore il cadavere viene trovato sul greto del Tevere, nessuno crede sia stato un suicidio, come invece lo archivia la polizia. Sarà il padre di Ettore, Valerio Frediani (Alessandro Gassmann), ex poliziotto espulso anni prima per un’accusa di spaccio — in cui forse è stato incastrato — a cercare di dare un senso a quella morte e scoprire cos’è accaduto a Ettore. Quel figlio un po’ ribelle e idealista, da anni un estraneo nella sua vita.

 

La nuova serie tv Io ti cercherò, in 4 serate su Rai 1 da domani, lunedì 5 ottobre (regia di Gianluca Maria Tavarelli; sue, tra le altre, le serie su Paolo Borsellino, 2004 e Il giovane Montalbano, 2012-2015), non è solo un giallo, ma si basa sul rapporto mancato tra un padre e un figlio. Una serie (coproduzione Rai Fiction e Publispei di Verdiana Bixio) con protagonisti, oltre a Gassmann, Maya Sansa (Sara, ex collega ed ex amante di Valerio) e Andrea Sartoretti (Gianni, fratello di Valerio). A firmare la sceneggiatura, con Massimo Bavastro e Monica Rametta, è la coppia, sul lavoro e nella vita, formata da Leonardo Fasoli (1962) e Maddalena Ravagli (1974), autori di serie come Gomorra (quinta stagione nel 2021), ZeroZeroZero, o del film L’immortale (2019). A «la Lettura» raccontano la nuova serie e il loro lavoro di scrittura per la tv.

 

« Io ti cercherò è la storia di un uomo che guarda alle occasioni mancate della vita andando a scoprire chi è quel figlio che ha perso di vista — spiega Fasoli — fino alla trasformazione: accettare lo sguardo sul mondo che il figlio gli lascia in eredità. Un capovolgimento dei ruoli». Ravagli precisa: «Oggi è cambiato il legame genitori-figli. Prima la durezza del vivere rendeva meno copiosi gli interrogativi su questo rapporto. Ora c’è uno smarrimento dei genitori rispetto alla propria identità perché non ci sono più schemi nei quali i figli si sentono compressi, o in cui si possono identificare o ribellare. E questa non è la storia di una perdita, ma del ritrovarsi».

Per Fasoli e Ravagli l’opera di scrittura attinge dall’attualità, al centro delle loro storie. «Per scrivere la trama e gli intrecci di un giallo come Io ti cercherò ci affidiamo alle ordinanze di custodia cautelare, cioè i documenti di un’indagine che il magistrato compila con la polizia investigativa, e che poi vanno al giudice. Materiale prezioso perché descrive il mondo criminale», riferisce Fasoli. «Per esempio i dialoghi e la registrazione minuziosa delle azioni — continua Ravagli —, frutto di intercettazioni ambientali, pedinamenti, sono utili per ricostruire dal punto di vista scenografico, e di sostanza, la materia umana. E poiché le associazioni a delinquere sono radicate nel territorio, abbiamo un puzzle di relazioni che è anche una fotografia dei luoghi». E che in Io ti cercherò «va dal litoraneo romano al centro storico, cioè il viaggio del riciclaggio dei soldi dello spaccio per essere reinvestiti in attività produttive e immobiliari». Ma per riportare appieno questo mondo occorre anche il punto di vista di chi ci sta dentro, «con un lavoro di interviste a persone contigue a questa realtà».

 

La prima fase della scrittura, cioè la ricerca (appunti, impressioni, interviste) serve, in parte, per affinare la descrizione dei dettagli; in parte per studiare l’animo umano. «Qui il problema è l’approccio. È un modo di guardare a sé stessi, al proprio vissuto», prosegue Ravagli. L’autore prova a raccontare la radice di un comportamento umano, «ma quasi sempre ti ritrovi con una domanda. E questo lascia lo struggimento del metterti in gioco: attingi a materiale che è il tuo; un’operazione a volte indolore, a volte meno».

 

Poi c’è la fase del «riscontro». Così Fasoli: «Abbiamo tanti consulenti per comprovare se quello che raccontiamo si discosta o no dal vero»; sia interni alla malavita, sia professionisti, come psichiatri che ci aiutano a delineare profili psicologici. Si passa poi alla costruzione della storia: «Usiamo il metodo americano del boarding, in spagnolo detto tramar: attacchiamo alla parete tanti cartoncini in cui riassumiamo le nostre idee. All’inzio è un puzzle disordinato; poi le azioni che scegliamo portano a delle conseguenze, fino a trovare i fili di una puntata che raggruppano i diversi cartoncini. Il lavoro progressivo di spacchettare sempre più un’idea si chiama breaking the episode ». Continua Ravagli: «Ma le scene devono sempre essere coerenti rispetto alle intenzioni dei protagonisti, perché ti permette di tenere sotto controllo l’arco di trasformazione del personaggio, che evolve, cambia, alla fine della storia non è mai quello che era all’inizio. Il suo è un viaggio».

 

«Su serie complesse, abbiamo lavorato con il sistema americano della writing room — spiegano entrambi — in cui un gruppo di autori con abilità diverse, come un buon dialoghista o chi sa tessere le trame, si confrontano. Più si è, più arrivano idee». Aggiunge Ravagli: «Una buona serie va un po’ pensata come un romanzo contemporaneo perché offre uno spaccato ecosistemico della realtà e lo fa in modo immersivo. E questo richiede molto tempo».

 

La scrittura può essere poi affinata sul set:

«Quando l’attore dà corpo alla parte possono emergere nuove sfumature. Un labor limæ che prosegue con le riprese». Un modo di lavorare recente, «che viene dagli Usa dove gli showrunner, cioè gli autori delle serie, hanno iniziato a seguirle in divenire». Un confronto che, oltre che sul set, avviene anche con gli scrittori. È il caso di Gomorra e di ZeroZeroZero, serie di successo ispirate ai due libri di Roberto Saviano (Mondadori, 2006; Feltrinelli, 2013): «Con Saviano c’è stato un affiancamento in alcune fasi del lavoro. Volevamo riprodurre l’esperienza del modo in cui lui aveva visto o sentito quelle storie, per ritrovare la stessa intensità». Ancora un’immersione nel reale, quella linea sottile tra scrittura e immagine, cinema e narrazione che nell’«officina» delle serie di Fasoli e Ravagli trova il suo preciso equilibrio.

 

Fonte: La Lettura – Corriere della Sera (4 Ottobre 2020)